venerdì 23 dicembre 2016

Captain Fantastic


Probabilmente il film più bello dell'anno visto finora, "Captain Fantastic" di Matt Ross (sia regista che sceneggiatore) è uno di quei rari casi in cui la semplicità di linguaggio si sposa perfettamente ad un tema altamente spinoso: la scelta di vita tutt'altro che accomodante di un padre vedovo e dei suoi sei figli. Decisione estrema, radicale, di abbandono delle comodità della vita odierna al fine di privilegiare lo spirito rispetto alla materia (e al materialismo), l'intelletto e la conoscenza alla mera rassegnazione di una vita agiata e piena di comfort.
Ma siamo proprio sicuri che lo scollamento dall'opulenza e dal conformismo del XXI secolo non sia altrettanto esecrabile e intrinsecamente poggiato sull'egoismo di una scelta univoca, calata dall'alto su ragazzi inconsapevoli, tanto quanto la detestata religione o il lifestyle americano che rende tutti obesi, ciechi e intolleranti?
Questa è la coraggiosa domanda che si pone il film, e altrettanto coraggioso è il modo di affrontarla: con una delicatezza e una leggerezza spiazzanti, fin dalla prima inquadratura all'ultima, emozionante, chiusura su una famiglia che definire sui generis è un eufemismo.
Con grande intelligenza il regista pone il protagonista (un grandissimo e misurato Viggo Mortensen, candidato al Golden Globe e al SAG Award) e, di riflesso, il pubblico, di fronte al dilemma di esaminare pro e contro di una scelta che per certi versi può apparire ammirevole, non fosse altro per la quantità di nozioni e saperi appresi dai ragazzi (interpretati da un cast di giovanissimi da applausi a scena aperta, la scena sulla Dichiarazione dei diritti vale da sola l'intero film) nonostante non frequentino un regolare percorso di studi, ma che inevitabilmente si dovrà scontrare con il "mondo reale".
Le trappole potevano essere molte, su tutte il ricatto emozionale e la facile condanna di uno o l'altro modo di vivere, ma sono sapientemente evitate; ciò che ci viene restituita è un'opera sentita, lacerante e disperata ma al tempo stesso intrisa di poetica dolcezza, due facce di una stessa medaglia (proprio come il padre Ben, sia brutale che sensibile) in cui alla fine prevale l'unione di una famiglia, diversa ma uguale a tutte le altre, con i suoi drammi, le sue disfunzionalità e soprattutto, come dovrebbe essere, con l'amore che la unisce e la riconcilia col mondo. Esemplificativa e da brividi la scena di "Sweet Child O' Mine" cantata dai ragazzi in cerchio durante la "cremazione" della madre.

lunedì 12 dicembre 2016

Ne Vedremo delle Belle, Si Apre la Stagione dei Premi


Con i premi della Broadcast Film Critics Association (comunemente detti Critics' Choice Awards) anticipati a dicembre, e le nomination ai Golden Globe Awards svelate questa mattina, la stagione dei premi entra ufficialmente nel vivo - per la gioia del sottoscritto - e si preannuncia un anno di grandi pellicole e performances.


Se i più quotati finora paiono essere "La La Land" di Damien Chazelle (Miglior Film e Miglior Regia, tra gli altri, proprio ai Critics' Choice Awards della notte scorsa) e "Moonlight" di Barry Jenkins, nella folta mischia dei film che si contenderanno l'incoronazione finale agli Academy Awards il 26 febbraio prossimo, possiamo notare opere di grande spessore e di generi trasversali (musical, war movie, western, fantascienza, noir e thriller), molte delle quali provenienti (e in alcuni casi vincitrici) dai vari festival, che siano essi Cannes, Toronto, Roma, Sundance, i quali tracciano ancora linee guida ben definite sull'andamento cinematografico mondiale.
Vecchia guardia e ritorni di gloria come "Hacksaw Ridge" del redivivo (ex) reietto di Hollywood Mel Gibson, della prova registica di Denzel Washington con "Fences", dell'atteso nuovo Scorsese con "Silence" e dell'ottuagenario Clint Eastwood con l'acclamato "Sully", vanno ad incrociarsi ai talenti della new Hollywood, in primis quel Damien Chazelle che già con "Whiplash" aveva centrato i cuori di critica e pubblico nel 2014; Denis Villeneuve con la fantascienza filosofica di "Arrival"; i semi-sconosciuti Kenneth Lonergan (era lo sceneggiatore di "Gangs of New York", per dirne uno), Barry Jenkins, alla seconda opera da regista e sceneggiatore, e l'indipendente David Mackenzie di "Hell or High Water". Per non dimenticare Jeff Nichols con il dramma sullo scontro razziale "Loving", Tom Ford e il suo ottimo "Animali Notturni" e l'australiano Garth Davis che esordisce sul grande schermo con "Lion"
Sulla carta, tutti loro firmano film coraggiosi, esteticamente appaganti, non allineati con gli stereotipi dell'establishment hollywoodiano e che fanno ben sperare in una stagione di grandi emozioni e, perché no, di riflessioni.
Che si srotolino i Red Carpets, via ai flash e ai discorsi di ringraziamento estenuanti, ai finti sorrisi degli sconfitti e al glamour più ostentato: It's Awards Season!