mercoledì 26 ottobre 2016

Inferno - Il Film

Premessa fondamentale: chi ha letto il romanzo di Dan Brown prima di vedere il film, partiva sicuramente sull'attenti; chi come me lo ha pure amato, arrivava al cinema a dir poco prevenuto, visti anche i tristi trascorsi - come dimenticare la tremenda trasposizione de "Il Codice da Vinci"?


Squadra che vince (al box office) non si cambia, e quindi ecco nuovamente Ron Howard dietro la macchina da presa e Tom Hanks nei panni del Professor Robert Langdon, esperto di simbologia, stavolta alle prese con nientepopodimeno che Dante e la sua celeberrima opera, sperduto e tramortito in quel di Firenze.
Inutile sottolineare le differenze rispetto all'opera cartacea, perché sono ovviamente molte, soprattutto nel finale, ma concorrono solo in parte alla non completa riuscita di questa pellicola. Che in verità inizia molto bene, con una buona dose di azione e spaesamento del protagonista e, quindi, del pubblico. Vincenti la fotografia e il montaggio serrato, che rendono la cornice di Firenze meno "da cartolina" del previsto, nonostante ogni luogo visitato dai protagonisti sia dettagliatamente trascritto - attendiamoci un'impennata turistica senza precedenti.


I problemi arrivano a circa 3/4 del film, precisamente quando Robert Langdon e Sienna Brooks si trovano a Venezia, e gli scellerati sceneggiatori decidono di non seguire più le linee guida del buon Dan Brown e di fare di testa loro; per carità, liberissimi di trovare diverse chiavi di lettura, ma non in maniera così brutale: escludendo il personaggio di Omar Sy inventato di sana pianta, ma ci può stare, quello che più colpisce (negativamente) è l'evoluzione del complesso personaggio di Felicity Jones, ossia la dottoressa Brooks, che verso il finale viene dipinta alla stregua di un'invasata unabomber qualsiasi. Molto male, in quanto nel romanzo il suo è probabilmente il personaggio più affascinante e in definitiva inaspettato dell'intera storia, con una sua precisa e sconvolgente storia personale che influenza inevitabilmente le sue scelte future, deprecabili o meno. 
Niente scavo psicologico per lei qui; figuriamoci, si dirà, non ci possiamo aspettare simili lussi di fronte ad un thriller hollywoodiano. Allora perché abbozzare un trito sottofondo amoroso (inesistente nel libro) tra Langdon e il capo dell'OMS Elizabeth Sinskey, per renderceli più umani, e non fare altrettanto con lei? Perché solo flashback puerili tra Sienna e Zobrist per avvalorare la tesi della sua presa di posizione, e indugiare su inutili intrighi di governo e confuse colluttazioni di terz'ordine? 
Prescindendo dal romanzo, la sensazione di già visto si fa presto strada, e il meccanismo indizi/soluzione dell'enigma alla fine stanca e il ritmo ne risente irrimediabilmente. Inoltre il pericolo "umorismo involontario" è costantemente dietro l'angolo.



Per non parlare dell'epilogo della vicenda, conciliante in modo fastidioso e al limite dell'inverosimile pure per una storia scritta da Dan Brown, come se l'intera avventura non sia stata altro che un divertissement fine a se stesso, svuotato da quell'urgenza necessaria dettata da un'incombenza apocalittica, che si dovrebbe respirare quando si parla di un virus mortale.
Ancora una volta Ron Howard si è adagiato sugli allori dell'incasso facile, mettendo il pilota automatico e facendo correre  a destra e a sinistra il suo Professor Langdon, che possiede tra le altre l'inaudita capacità di aprire antichissime porte nascoste con una facilità sconvolgente, nonostante i ripetuti traumi cranici riportati.

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