giovedì 19 maggio 2016

La Pazza Gioia

Dopo la parentesi brianzola del pluripremiato "Il Capitale Umano" (7 David di Donatello tra cui Miglior Film), Paolo Virzì torna a girare nella natia Toscana tratteggiando con l'inconfondibile tocco scanzonato e sensibile il ritratto di due donne, Beatrice e Donatella, lontane anni luce l'una dall'altra per provenienza sociale e storia clinica, rinchiuse in una comunità per malati psichiatrici e del loro "diritto all'euforia", alla felicità.


La fuga delle due pazienti (una strabordante Valeria Bruni Tedeschi e una sofferta Micaela Ramazzotti), novelle Thelma & Louise sotto antidepressivi, innesca una sequela di avvenimenti e situazioni al contempo esilaranti e amare, da sempre cifra stilistica del regista-sceneggiatore (qui la firma è assieme a Francesca Archibugi), che ci accompagnano in punta di piedi all'interno delle loro psicosi, dei loro caratteri amplificati, cercando di dare un senso (senza facili ricatti morali) alle loro azioni, per quanto esecrabili esse siano. 
Qui sta la scelta vincente della pellicola: farci conoscere Beatrice e Donatella in primis come donne, con le loro idiosincrasie, le loro turbe mentali, ovviamente, ma scevre dalle loro sentenze e pene giudiziarie, semplicemente per quello che sono, non per ciò che hanno fatto.
Impariamo così ad amarle senza riserve, evitando nella seconda metà del film di puntare il solito odioso dito.
Virzì ci riesce ancora una volta, con la sua leggerezza poetica, il suo amore per i personaggi femminili "ai margini", per la voglia di vivere (e di Cinema) che pervade ogni suo opera, questa senza esclusione.
Si ride e si piange con le due scapestrate protagoniste, meritevoli entrambe di una standing ovation per l'onestà e la profondità con cui ci restituiscono due donne fragili, ossessive e ossessionate, sempre sul punto di esplodere ma alla ricerca disperata di una luce in fondo al tunnel che doni loro un po' di pace. 


La Bruni Tedeschi, nella sua rinascita italiana da qualche anno a questa parte, indovina un altro ruolo vincente e ha il merito delle scene più divertenti del film, sempre in bilico tra alta classe e folle disperazione: inevitabile il rimando al personaggio bipolare per eccellenza della letteratura e del cinema, Blanche DuBois di "Un Tram chiamato Desiderio" (non a caso si scorge una copia del libro in una scena).
La Ramazzotti abbandona per la seconda volta l'accento romano (già ne "La Prima cosa bella" sfoggiava un'inflessione toscana convincente) e gioca tutto sugli sguardi e i tic, sul trattenere qualsiasi emozione, una scelta che rende il suo personaggio meno banale di quanto ci potessimo aspettare.
Tra le colline e la spiaggia, Montecatini Terme e la movida versiliana, le ville lucchesi e il lungomare di Viareggio (con un'incursione al Centro Commerciale "I Gigli"), l'On The Road made in Toscana è un godibile e sincero concentrato di solitudini che si incontrano, si scontrano, orbitano su loro stesse e cercano disperatamente di riacciuffarsi, perché in definitiva la condivisione di un male comune è la prima, flebile, strada per la felicità, per la gioia più pura. E pazza.


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