giovedì 7 settembre 2017

Dunkirk

Partiamo da un assioma: Christopher Nolan è una garanzia.
Affermazione che farà storcere il naso a tanti, forse, ma sfido a trovare attualmente in circolazione un regista capace di catalizzare l'attenzione di pubblico e critica e, al contempo, di coniugare tecnica registica, intrattenimento e riflessione in ogni sua opera a livelli altrettanto eccellenti.


Perché "Dunkirk", sua ultima fatica a 3 anni di distanza dall'incompreso (e troppo ambizioso?) "Interstellar", è la summa perfetta del suo talento visionario, nonostante la narrazione si discosti palesemente dalle sue opere precedenti. Cimentandosi per la prima volta con un evento storico avvenuto per di più durante la II Guerra Mondiale, Nolan non si adagia "sugli allori" di un genere apparentemente comodo e abusato, ma riesce a reinventarlo e a renderlo affine alla sua cifra stilistica più riconoscibile: la distorsione del tempo.
Fin da "Memento" il regista britannico ci ha abituati alla non linearità delle sue storie a scatole cinesi, nelle quali il tempo è un elemento mai statico che egli riesce a plasmare sapientemente sorprendendo continuamente lo spettatore. 


Non fa eccezione "Dunkirk", asciutto e al limite del chirurgico nel primo tempo, incalzante e avvincente nella seconda parte fino all'emozionante finale, un crescendo di storie parallele che si intersecano perfettamente riavvolgendosi su se stesse e liberandosi al traguardo (commovente ma non melenso) come un meccanismo ad orologeria senza sbavature. 
La parte del leone la fa, ovviamente, anche la colonna sonora del fidato Hans Zimmer (accanto a Nolan dai tempi della Trilogia di Batman), un incedere costante di violini e percussioni che permeano e sottolineano l'assurdità e la precarietà di un'attesa alienante, quasi grottesca, che rende i soldati inerti e esposti come un tiro al bersaglio alle bombe dell'esercito tedesco.
Pochi cineasti riuscirebbero a rendere accattivante nel 2017 un evento pressoché sconosciuto risalente al secondo conflitto mondiale (circa 400.000 soldati inglesi e francesi sostanzialmente bloccati su una spiaggia in attesa dei rinforzi, mentre il nemico tedesco avanza inesorabile da terra e attacca dal cielo), rispetto ai ben più celebri sbarchi in Normandia o attacchi a Pearl Harbour, privo peraltro della densità di eventi che ci si aspetterebbe da un lungometraggio di guerra. L'azione è spostata sui dettagli, sulle sottigliezze, nelle pieghe di un racconto spietato: la sepoltura nella sabbia di un soldato ucciso rappresenta la speranza di salvezza per un altro, una banale lite porta alla morte di un ragazzo appena diciassettenne, un guasto all'indicatore dei galloni spinge un pilota ad un estremo sacrificio.


Ulteriore punto di merito, il film riesce nella sua impresa senza nessun "divo" di richiamo nel cast, ma solo con eccellenti attori tutti nei ruoli di supporto (Kenneth Branagh, Mark Rylance, Tom Hardy e Cillian Murphy), un ex membro degli One Direction all'esordio sul grande schermo (Harry Styles a suo modo convincente) e, soprattutto, un volto sconosciuto che campeggia addirittura sulla locandina: quello di Fionn Whitehead, lo schivo e giovanissimo soldato inglese sotto ai cui occhi si snoda l'intero racconto. 
Sarà questa la pellicola che consacrerà finalmente Nolan agli Academy Awards, come molti già auspicano? Qui ce lo auguriamo, convinti che difficilmente quest'anno vedremo un film migliore.

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