venerdì 20 gennaio 2017

Arrival

Dovendo riassumere in una sola frase il nuovo film di Denis Villeneuve (in concorso all'ultimo Festival di Venezia e in ottima posizione per ottenere diverse nominations agli Oscar) "una parabola moderna sulla comunicazione (o sull'impossibilità di essa)" calzerebbe alla perfezione.



Un'esperta linguista, tale Louise Banks, viene reclutata dall'esercito americano per stabilire un contatto con una specie aliena che ha appena occupato i cieli di 12 diverse zone della Terra con altrettante navicelle a forma di guscio. Il suo compito è, appunto, quello di decifrare il loro linguaggio e, coadiuvata da un fisico teorico, stabilire una comunicazione per capire, prima di tutto, da dove provengano e quali siano le intenzioni dei viaggiatori spaziali.
Lontano anni luce - è il caso di dirlo - da qualsiasi altro film di fantascienza sulle invasioni extraterrestri visto ultimamente, "Arrival" si concentra sul personaggio di Louise (un'intensa Amy Adams che quest'anno non sbaglia un colpo), tormentata da visioni della figlia morta e alla disperata ricerca della soluzione all'enigma/ostacolo comunicativo che alla fine riuscirà a trovare, in un colpo di scena sbalorditivo che ribalta l'intera prospettiva della pellicola. Proprio lei rappresenta il tramite tra le due "coscienze" in grado di sbloccare il gap linguistico, il cui processo analitico viene reso in maniera affascinante (e plausibile, il che non guasta) nonostante i tecnicismi utilizzati. 


Un'opera che, come la sua protagonista, non usa la forza per affrontare un tema delicato (e anche abusato al cinema), ma relega il complesso militare sullo sfondo concentrandosi sulla volontà di Louise, che ben presto diviene missione squisitamente personale, di stabilire una connessione, un punto di incontro tra due civiltà, due mondi, due universi infinitamente distanti.
Se in "Incontri ravvicinati del terzo tipo" Spielberg si affidava ad una sequenza musicale, parallelamente qui la chiave per la reciproca comprensione è il tempo, inteso come una forza fluida che agisce da raccordo sulle esperienza umane e che, una volta decifrato il linguaggio alieno, si trasforma in "un'arma", anzi un dono, da usare per giungere ad un bene comune. In controtendenza rispetto ai blockbuster che li vogliono perennemente sul piede di guerra, qui gli extraterrestri sono entità pressoché benevole, che come degli atavici dèi hanno il compito di riportare l'equilibrio sulla Terra martoriata dai contrasti interni, quanto mai attuali. 
E quale ostacolo più grande regna tra gli esseri umani se non l'incomunicabilità
Soprattutto, in che modo porvi rimedio?
Questo è il principale quesito al quale lo script di Eric Heisserer (adattato dal racconto "Storia della tua vita") cerca di dare risposta, senza mai essere banale nonostante presenti una filosofia 2.0: risultano sostanzialmente più efficaci (perché racchiudono preziosi insegnamenti e surplus cognitivi) i metodi di inclusione dello straniero, del diverso, dell'altro da sé e, in definitiva, sono più vincenti gli sforzi intrapresi per stabilire punti di contatto, anziché quelli volti a porre barriere e a innalzare muri, che si tratti di esseri umani o entità aliene.
Temi che curiosamente cadono a fagiolo alla vigilia dell'insediamento di Donald J. Trump come 45° Presidente USA.

Nessun commento:

Posta un commento