giovedì 12 gennaio 2017

Elle

Fresco di due vittorie ai Golden Globe Awards (Miglior Film Straniero e Miglior Attrice Protagonista in un film drammatico), "Elle" di Paul Verhoeven, indimenticato regista olandese di quella perla trash di "Showgirls", è solo apparentemente un thriller psicologico, che si diverte a mischiare generi e stili per divenire qualcosa di assolutamente originale, in definitiva una sorprendente commedia nerissima sul ruolo interscambiabile dei sessi, sulla seduzione e sul potere della femminilità.


Senza sconti e facili ammiccamenti, la pellicola ruota attorno a Michèle, donna divorziata emancipata, che subisce un'aggressione con tanto di stupro nella propria casa, ma anziché divenire vittima dell'accaduto si trasforma in una gelida e lucida carnefice, sia nella sfera puramente intima e sessuale (l'atto meccanico di masturbare il suo amante nel proprio ufficio e, soprattutto, il gioco del gatto e del topo che instaura con il - non più - misterioso aggressore) che in quella pubblica e relazionale (la cena di Natale è un pretesto per affermare dominio e controllo sulle persone che la circondano, mentre la caccia all'hacker nel suo ufficio si risolve in modo imprevedibile).
Attraverso la sua splendida protagonista (Isabelle Huppert al suo massimo) il regista ridicolizza la società borghese rendendo Michèle una mina vagante di sincerità, fascino e disinibizione: totalmente priva di filtri agisce sempre sul filo del rasoio sia che si tratti del rapporto madre-figlia (la reazione asettica all'aneurisma della madre), di quello con il figlio immaturo, con l'ex-marito e la morbosa curiosità verso la di lui nuova fidanzata e, in maniera più rilevante, col vicino di casa nuovo oggetto del desiderio.
E' francamente rincuorante vedere oggigiorno ritratti di personaggi femminili così forti, ambigui e catalizzatori, liberi da quel politicamente corretto che si vorrebbe perpetrare nei confronti delle vittime di aggressione e, in modo assoluto, delle donne che, proprio come gli uomini, soddisfano desideri e perversioni sessuali con pari risolutezza e raziocinio.
Il risultato è che nessuno si salva da questo grottesco affresco: che sia la 75enne col toy-boy, il 25enne inadeguato costretto al ruolo di padre di un figlio palesemente non suo oppure il vicino di casa con la moglie ultra cattolica che si fa palpare a tavola da una donna più matura, tutti si muovono in una fluida sovrapposizione del potere dei sessi, in cui il fulcro centrale è la frase che ad un certo punto declama la protagonista: "la vergogna non è sufficiente ad impedirci di fare certe cose", in quanto il desiderio primeggia e spinge alle azioni più scellerate.
Mai sopra le righe e sempre misurata, la Huppert rende umano, estremamente affascinante e persino divertente il suo prototipo di femminilità 2.0, che riesce anche a liberarsi dai fantasmi del passato (la purificazione nei confronti del padre-mostro verso la conclusione è emblematica) e ristabilire l'ordine nella sua vita alle proprie condizioni. 
Ci vuole grande coraggio per affrontare un ruolo del genere, soprattutto superati i 60 anni, e l'applauso è tutto per lei. Chissà se, dopo il Golden Globe vinto e i vari premi della critica ottenuti, l'Academy saprà riconoscerle il giusto merito.

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