martedì 24 gennaio 2017

Nomination Oscar 2017: Sorprese (Poche) e Snobbati


Grande rinnovamento per la cerimonia delle Nominations agli Academy Awards edizione 89, che rispetto agli altri anni non sono state annunciate dal Samuel Goldwyn Theater di Los Angeles, bensì tramite una diretta da 6 angoli diversi del globo, una condivisione totale con il mondo che ben dimostra i nuovi intenti "inclusivi" dell'Academy.
E difatti, volenti o nolenti, salta subito agli occhi il numero di attori afroamericani candidati quest'anno, in controtendenza rispetto alle ultime due edizioni contraddistinte dall'infamante #oscarsowhite: ben sei (Denzel Washington, Ruth Negga, Mahershala Ali, Viola Davis, Naomie Harris, Octavia Spencer). E allargando il cerchio, troviamo Berry Jenkins nella cinquina del Miglior Regista, per "Moonlight". Se dovesse vincere, sarebbe il primo regista di colore a riuscire nell'impresa.
Un segnale positivo che, speriamo, possa spostare l'attenzione mediatica sul valore intrinseco delle pellicole, anziché su polemiche (legittime o meno) a sfondo etnico.
Di seguito le grandi sorprese e gli snobbati più eclatanti di quest'anno.

lunedì 23 gennaio 2017

Silence

Il nuovo ambizioso film di Martin Scorsese, progetto cullato per oltre 25 anni tratto dal romanzo "Silenzio" dello scrittore giapponese Shūsaku Endō, è destinato a dividere il pubblico.
Innanzitutto, ad uno sguardo superficiale, si potrebbe dire che "Silence" sia l'opera di un regista fortemente influenzato dalla fede cristiana (il che è vero) che ha voluto confezionare una sorta di testamento propagandista filo-cattolico. Sbagliatissimo.
Proprio per la sue radici cristiane Scorsese ha potuto realizzare un'opera eccellente che pone la questione della religione sul piano etico e morale, sollevando dubbi e chiedendo a se stesso e al pubblico di riflettere sulla missione gesuita di due sacerdoti nel Giappone del XVII secolo.


Non di facile fruizione, privo di colonna sonora e caratterizzato da scene di lungo respiro, "Silence" è maestoso nel suo concepimento e nella sua realizzazione (la fotografia di Rodrigo Prieto lascia a bocca aperta), ma avrebbe potuto essere ancora più coraggioso nella sua tematica. Preferisce non azzannare al collo l'atavico, e scomodo, elemento dello scontro religioso (in questo caso tra cristianesimo e buddismo), ricorrendo piuttosto ad uno stile poetico e filosofico che riesce però ad addentrarsi sotto la pelle dello spettatore, smuovendo anche (almeno per il sottoscritto) le coscienze dei più fervi miscredenti. Ma l'obiettivo non è quello di "reclutare" anime alla causa cristiana, bensì mostrare quanto il potere della religione, qualunque essa sia, possa essere granitico e impossibile da sradicare, nonostante tentativi di coercizione o abiure ostentate; e, soprattutto, quanto pericolosamente inutile sia far prevalere l'uno o l'altro credo in condizioni estremamente diverse e variegate, quando entrambi potrebbero - e dovrebbero - perpetrare il bene comune. 
In questo senso il protagonista, Padre Sebastião Rodrigues (Andrew Garfield che regala una grande prova attoriale, matura e misurata) è il simbolo dell'uomo dalla fede incrollabile, che porta avanti la sua missione con lo stesso sacrificio che caratterizzò Gesù Cristo, ma probabilmente è anche colui che cela le maggiori debolezze dell'essere umano, prima fra tutti una radicalizzazione cieca della sua stessa fede. Il che porta inevitabilmente più danni che benefici.
Temi spinosi e attualissimi oggi più che mai, dove la religione è sempre maggiormente utilizzata come arma per soggiogare le masse e giustificare odio e divisioni. Per questo "Silence" è un film profondamente sentito, toccante e senza dubbio necessario, pur con alcune debolezze di fondo (la voce fuori campo del protagonista a tratti è fin troppo didascalica), perché ha come scopo ultimo ciò che il Cinema dovrebbe realizzare più frequentemente: far pensare.

venerdì 20 gennaio 2017

Arrival

Dovendo riassumere in una sola frase il nuovo film di Denis Villeneuve (in concorso all'ultimo Festival di Venezia e in ottima posizione per ottenere diverse nominations agli Oscar) "una parabola moderna sulla comunicazione (o sull'impossibilità di essa)" calzerebbe alla perfezione.



Un'esperta linguista, tale Louise Banks, viene reclutata dall'esercito americano per stabilire un contatto con una specie aliena che ha appena occupato i cieli di 12 diverse zone della Terra con altrettante navicelle a forma di guscio. Il suo compito è, appunto, quello di decifrare il loro linguaggio e, coadiuvata da un fisico teorico, stabilire una comunicazione per capire, prima di tutto, da dove provengano e quali siano le intenzioni dei viaggiatori spaziali.
Lontano anni luce - è il caso di dirlo - da qualsiasi altro film di fantascienza sulle invasioni extraterrestri visto ultimamente, "Arrival" si concentra sul personaggio di Louise (un'intensa Amy Adams che quest'anno non sbaglia un colpo), tormentata da visioni della figlia morta e alla disperata ricerca della soluzione all'enigma/ostacolo comunicativo che alla fine riuscirà a trovare, in un colpo di scena sbalorditivo che ribalta l'intera prospettiva della pellicola. Proprio lei rappresenta il tramite tra le due "coscienze" in grado di sbloccare il gap linguistico, il cui processo analitico viene reso in maniera affascinante (e plausibile, il che non guasta) nonostante i tecnicismi utilizzati. 

giovedì 12 gennaio 2017

Elle

Fresco di due vittorie ai Golden Globe Awards (Miglior Film Straniero e Miglior Attrice Protagonista in un film drammatico), "Elle" di Paul Verhoeven, indimenticato regista olandese di quella perla trash di "Showgirls", è solo apparentemente un thriller psicologico, che si diverte a mischiare generi e stili per divenire qualcosa di assolutamente originale, in definitiva una sorprendente commedia nerissima sul ruolo interscambiabile dei sessi, sulla seduzione e sul potere della femminilità.


Senza sconti e facili ammiccamenti, la pellicola ruota attorno a Michèle, donna divorziata emancipata, che subisce un'aggressione con tanto di stupro nella propria casa, ma anziché divenire vittima dell'accaduto si trasforma in una gelida e lucida carnefice, sia nella sfera puramente intima e sessuale (l'atto meccanico di masturbare il suo amante nel proprio ufficio e, soprattutto, il gioco del gatto e del topo che instaura con il - non più - misterioso aggressore) che in quella pubblica e relazionale (la cena di Natale è un pretesto per affermare dominio e controllo sulle persone che la circondano, mentre la caccia all'hacker nel suo ufficio si risolve in modo imprevedibile).
Attraverso la sua splendida protagonista (Isabelle Huppert al suo massimo) il regista ridicolizza la società borghese rendendo Michèle una mina vagante di sincerità, fascino e disinibizione: totalmente priva di filtri agisce sempre sul filo del rasoio sia che si tratti del rapporto madre-figlia (la reazione asettica all'aneurisma della madre), di quello con il figlio immaturo, con l'ex-marito e la morbosa curiosità verso la di lui nuova fidanzata e, in maniera più rilevante, col vicino di casa nuovo oggetto del desiderio.
E' francamente rincuorante vedere oggigiorno ritratti di personaggi femminili così forti, ambigui e catalizzatori, liberi da quel politicamente corretto che si vorrebbe perpetrare nei confronti delle vittime di aggressione e, in modo assoluto, delle donne che, proprio come gli uomini, soddisfano desideri e perversioni sessuali con pari risolutezza e raziocinio.
Il risultato è che nessuno si salva da questo grottesco affresco: che sia la 75enne col toy-boy, il 25enne inadeguato costretto al ruolo di padre di un figlio palesemente non suo oppure il vicino di casa con la moglie ultra cattolica che si fa palpare a tavola da una donna più matura, tutti si muovono in una fluida sovrapposizione del potere dei sessi, in cui il fulcro centrale è la frase che ad un certo punto declama la protagonista: "la vergogna non è sufficiente ad impedirci di fare certe cose", in quanto il desiderio primeggia e spinge alle azioni più scellerate.
Mai sopra le righe e sempre misurata, la Huppert rende umano, estremamente affascinante e persino divertente il suo prototipo di femminilità 2.0, che riesce anche a liberarsi dai fantasmi del passato (la purificazione nei confronti del padre-mostro verso la conclusione è emblematica) e ristabilire l'ordine nella sua vita alle proprie condizioni. 
Ci vuole grande coraggio per affrontare un ruolo del genere, soprattutto superati i 60 anni, e l'applauso è tutto per lei. Chissà se, dopo il Golden Globe vinto e i vari premi della critica ottenuti, l'Academy saprà riconoscerle il giusto merito.

lunedì 9 gennaio 2017

Golden Globe 2017: I Momenti "Migliori" e "Peggiori"


Oltre alle numerose trasparenze e all'elevata percentuale di "pelle" mostrata sul Red Carpet dalla maggioranza delle star presenti (da Jessica Biel a Mandy Moore, da Drew Barrymore a Sofia Vergara), la 74esima edizione dei premi della Hollywood Foreign Press Association sarà ricordata dai posteri sicuramente per due motivi: il record di 7 globi d'oro vinti da "La La Land" (più di qualsiasi altra pellicola, superando quota 6 di "Qualcuno volò sul nido del cuculo" nel 1975 e di "Fuga di Mezzanotte" nel 1978), e il discorso di ringraziamento di Meryl Streep (premiata con il Cecil B. DeMille Award alla straordinaria carriera) sempre in prima linea sui temi del sociale, che senza nominarlo apertamente ha duramente criticato Donald Trump e la sua pericolosa attitudine a diffondere discriminazione, xenofobia e violenza.


Va detto che in pochi si sono risparmiati battute e malcelate frecciatine al neo-presidente eletto (Jimmy Fallon nel suo monologo di apertura l'ha persino paragonato al terribile Re Joffrey del Trono di Spade), responsabile di alimentare odio, razzismo e separazione tra differenti gruppi etnici (e non solo), quando proprio ieri sera al Beverly Hilton si è potuto testimoniare quanto Hollywood (finalmente?) abbia accolto il delicato tema della "diversity" e, dopo la polemica dello scorso anno con il controverso  #oscarsowhite, si siano visti molti candidati e vincitori di colore, sia in ambito televisivo che cinematografico (vedi tra gli altri la serie tv "Atlanta" e la protagonista di "Black-ish" Tracee Ellis Ross vincitrice del primo Golden Globe per un'attrice comica di colore dal 1983, anno in cui Debbie Allen lo portò a casa per "Fame").
In questo clima, quindi, quali sono stati i momenti "migliori" e "peggiori" dello show?