sabato 12 marzo 2016

Visioni Italiche: "Hungry Hearts"

Cronaca di un amore malato. Per un figlio, per il proprio corpo.
Attraverso un thriller psicologico (ma con una direzione meno torbida rispetto al precedente "La solitudine dei numeri primi", che girò in evidente stato confusionale) il regista Saverio Costanzo ci fa discendere negli inferi di una relazione tra due solitudini (nuovamente), due corpi che si incontrano fortuitamente nella toilette di un ristorante cinese (nella surreale scena iniziale, uno dei temi cardine del film ci è subito mostrato: la sofferenza del corpo verso il cibo "industriale"), si amano visceralmente e mettono al mondo un maschietto. 


Un bambino senza nome (non verrà mai menzionato come si chiama), un bambino che vive solo attraverso l'amore incondizionato e scellerato di una madre instabile e paranoica (ben oltre le riduttive "teorie vegane" tanto di moda oggigiorno), che in una spirale di psicosi lo porterà alla denutrizione, e di un padre ingenuo e inizialmente cieco di fronte alla gravità della situazione, colpevole solo di amare troppo la sua famiglia per scorgervi delle insidie ben più gravi.
In un crescendo di tensione, la mano del regista insiste forse eccessivamente sul taglio "horror" della vicenda, calcando la mano nel voler deformare (anche visivamente) i suoi personaggi nel tentativo di renderli lo specchio soffocante del proprio spirito imprigionato, quando ritengo che la storia sia già di per sé esaustivamente drammatica e agghiacciante.
Ma tant'è, rendiamo onore alla sua direzione degli attori, i due eccellenti protagonisti: Alba Rohrwacher e Adam Driver, non a caso entrambi vincitori della Coppa Volpi al Festival di Venezia 2014 per la migliore interpretazione. 
La prima, in un ruolo che le si addice, avendo indossato più di una volta i panni di donne borderline, non si lascia mai intrappolare dal personaggio ingombrante di Mina, madre ossessionata dal cibo "naturale" e dall'ambiente circostante, che costituisce un rapporto esclusivista e malsano col proprio figlio. Senza cedere a facili manierismi, l'attrice cattura nel suo sguardo dolente tutta la depressione e la sofferenza derivanti dall'impossibilità di accettare il mondo esterno in altra forma che non quella unicamente della minaccia e della contaminazione, rendendocela profondamente umana, fragile e in definitiva disperata, ma al contempo spietatamente lucida nelle sue radicate convinzioni.
La vera scoperta è lui, l'attore rivelazione e futuro Kylo Ren di "Star Wars", che con la sua faccia che buca lo schermo è convincente ed efficace nel difficile ruolo di Jude, un uomo profondamente premuroso e preoccupato per il benessere del bambino, che deve escogitare stratagemmi per nutrirlo correttamente (straziante la scena in chiesa) e solo troppo tardi si renderà conto del danno causato dalla donna che ama al figlio "indaco", e assisterà inerme al tragico epilogo.

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