giovedì 16 febbraio 2017

Hidden Figures (Il Diritto di Contare)

Nel 1961 la cosiddetta "corsa allo spazio" scandì uno dei momenti cruciali della Guerra Fredda tra USA e Unione Sovietica, e le imprese dell'una e dell'altra parte sono state più volte riportate e impresse nella memoria e nei libri di Storia, così come gli eroi che ne furono protagonisti.


Ci furono tuttavia alcuni attori (o nel caso specifico, attrici) fondamentali nel processo che portò gli Stati Uniti alla gloria e al prestigio dell'avventura spaziale, per molto tempo rimasti nell'ombra, sconosciuti alle grandi masse, senza il cui prezioso contributo non si sarebbe nemmeno potuto considerare, di lì a pochi anni, l'arrivo dell'uomo sulla Luna.
In pillole, questo è ciò che racconta "Hidden Figures" (in Italia diventato curiosamente "Il Diritto di Contare"): la storia vera di tre scienziate (Katherine la matematica, Mary l'ingegnere e Dorothy la programmatrice), tra le prime donne afroamericane assunte alla NASA, che vincono il doppio pregiudizio del colore della loro pelle (i fatti si svolgono nello Stato della Virginia, all'epoca ancora segregazionista) e del loro sesso, riuscendo a eccellere nei relativi campi divenendo delle vere e proprie pioniere.
In particolare, Katherine G. Johnson (una Taraj P. Henson in forma smagliante, misurata e intensa), la bambina prodigio che riusciva a risolvere complicatissime equazioni già all'età di 10 anni, fu colei che rese possibile, grazie ai suoi calcoli perfetti, la riuscita della Missione Mercury-Atlas 6, con relativo lancio, orbita intorno alla Terra e ritorno della capsula "Friendship 7" con l'astronauta John Glenn a bordo.

Il film diretto e co-sceneggiato da Theodore Melfi celebra queste figure nascoste mostrando sia i loro sforzi intellettuali in un ambiente lavorativo dominato da uomini bianchi, che le lotte private contro una società che le considerava poco più che adatte a svuotare i cestini degli uffici e le confinava nei bagni per gente di colore. Non erano lotte fatte di slogan, cartelli o proteste davanti ai municipi, bensì di costanza: dimostravano quotidianamente col loro brillante lavoro quanto valessero, guadagnandosi con le unghie e con i denti un posto che spettava loro di diritto.


Declinato in forma di commedia godibilissima, che scorre via piacevole perché sa intercettare quei momenti di tensione e di inevitabile scontro razziale senza calcare troppo la mano, il regista esprime in modo chiaro che, con una leggerezza di fondo, si possono trattare temi spinosi (e ancora attuali, purtroppo) riuscendo comunque a far riflettere e, soprattutto, a emozionare.
Poco importa se in tutta l'opera permane quel senso edificante che ad un occhio cinico può sembrare fin troppo "acchiappa-pubblico" oppure furbescamente accattivante: gli eventi narrati trascendono la dimensione filmica come le tre protagoniste oltrepassavano i paletti imposti da una cultura ottusa, mentre il cast in stato di grazia (oltre alla Henson, completano il trio le ottime Octavia Spencer, candidata all'Oscar, e Janelle Monàe, a cui aggiungiamo un Kevin Costner sorprendentemente in parte), premiato giustamente con il SAG Award come Best Ensemble, riesce a rendere affascinante e coinvolgente persino il Teorema di Eulero. 
In fin dei conti, una vicenda che era necessario raccontare e promuovere, oltre che per l'intrinseca importanza storica, per capire quanto prezioso sia il nostro cervello che, parafrasando una frase di Al Harrison (il personaggio di Kevin Costner), "ha esattamente lo stesso colore degli altri".

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