martedì 7 febbraio 2017

Jackie

Un resoconto atipico dei tre giorni che seguirono l'assassinio del Presidente USA John Fitzgerald Kennedy, ricostruito dalla viva voce della consorte Jacqueline: ci voleva un regista cileno e non allineato come Pablo Larraín, dallo stile asciutto e tagliente, per restituire dignità e veridicità a un momento storico fondamentale e a una figura femminile altrettanto iconica. 


"Jackie" ruota letteralmente intorno alla figura della sua protagonista: la macchina da presa è costantemente su di lei, intercetta qualsiasi emozione senza risparmiare primissimi piani sul suo viso macchiato dal sangue del marito e ricostruisce con precisione chirurgica il fatale momento dello sparo sulla limousine presidenziale di quel maledetto 22 novembre 1963.
Il regista però non indugia mai sul fattore retorico della vicenda, liberando il racconto da inutili sovrastrutture che avrebbero potuto tranquillamente trasformare l'opera in una banale fiction romanzata. Con un taglio d'apertura quasi horror, coadiuvato da una colonna sonora d'effetto, il film si concentra inevitabilmente sulla figura di Jackie e sul suo dolore senza compromessi, privo di orpelli o accomodamenti: la First Lady che si aggira come un fantasma tra le numerose stanze di quella Casa Bianca tanto amata che, indirettamente, adesso la vede come un'ospite indesiderata, non riesce a trovare un senso all'assenza e al vuoto lasciato dal marito.

Una donna, prima di tutto, che ha perso ogni cosa perché legata indissolubilmente alla carriera e al destino politico di JFK, e che ora deve farsi carico del modo in cui la gente ricorderà l'amato Presidente (volendo a tutti costi un imponente funerale sulla falsariga di quello di Lincoln), oltre a dover dar prova di grande coraggio e forza d'animo per i figli e, non ultimo, per il pubblico, il mondo intero, che la osserva e la giudica.
Con una straordinaria interpretazione di Natalie Portman, mimetica (lavoro eccellente su voce e postura) e anticonvenzionale al punto giusto (sarebbe un Oscar meritato se quest'anno non ci fosse Emma Stone), il film avrebbe potuto beneficiare di un ritmo migliore sulla parte centrale e fare a meno delle eccessivamente didascaliche battute finali su Dio e la fede; ma la chiusura sulle note di "Camelot" (e l'intrinseco significato del sacrificio per i propri ideali) e l'amaro destino di una famiglia apparentemente perfetta, con Jackie che osserva manichini con le sue sembianze mentre vengono scaricati da un furgone, non può non farci realizzare che Larraín ha costruito grande Cinema con una storia arcinota e insidiosa, donandole cuore e anima.
Una riflessione sul delicato confine tra realtà storica e autenticità, sulla percezione esterna di un mondo dorato, sulla caducità della fama (ricercata o meno) e infine sull'impronta che lasciamo di noi stessi al mondo.

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