lunedì 11 dicembre 2017

Golden Globe Awards: Le Nominations

Stamattina a Los Angeles sono state svelate le nominations per la 75esima edizione dei premi della stampa estera ossia i Golden Globe Awards che si terranno il 7 gennaio prossimo al Beverly Hilton Hotel.
A guidare la giostra dei candidati è ancora una volta "The Shape of Water" di Guillermo Del Toro, che a mano a mano sta diventando il cavallo da battere di questa stagione di premi. 
Sono ben 7 le nominations ricevute dal film del regista messicano, già Leone d'Oro a Venezia e in pole position per le categorie principali: Film Drammatico, Regia, Sceneggiatura, Attrice, Attore non protagonista, Attrice non protagonista e Colonna Sonora.

Seguono a distanza ravvicinata con 6 candidature ciascuno "The Post" di Steven Spielberg con la coppia Hanks-Streep e "Three Billboards Outside Ebbing, Missouri" di Martin McDonagh, mentre "Dunkirk" e "Chiamami col tuo nome" raggiungono quota 3 nominations (per il film di Guadagnino era lecito attendersi qualcosa di più).
Nella categoria Comedy-Musical salta all'occhio l'inclusione di "Get Out", non esattamente una commedia brillante, bensì una satira sociale mascherata da horror, mentre "Lady Bird" di Greta Gerwig, che quest'anno rappresenta l'opera indipendente con le migliori recensioni - attualmente al 99% di gradimento su Rotten Tomatoes - conquista 4 candidature forti (Film Commedia, Sceneggiatura, Attrice e Attrice Non Protagonista) ma non quella per la sua regista. Chiudono la cinquina "I,Tonya" e "The Greatest Showman" con 3 nominations e il film diretto e interpretato da James Franco "The Distaster Artist" con due candidature.


Per quanto riguarda le serie televisive, "Big Little Lies" della HBO domina con ben 6 nominations (Miglior Miniserie e praticamente tutti gli attori: Kidman, Witherspoon, Dern, Woodley e Skarsgard), segue "Feud: Bette and Joan" di Ryan Murphy a quota 4, mentre e sia la serie trionfatrice agli Emmy "The Handmaid's Tale" che "This is Us" vengono candidate in 3 categorie. Una sola nomination, infine, per "Game of Thrones" come Miglior Serie Drammatica, mentre sorprendentemente nessun membro del cast è stato selezionato.

domenica 29 ottobre 2017

50 Anni per Julia Roberts: i 5 Ruoli che Ho Amato

Nasceva il 28 Ottobre del 1967 Julia Fiona Roberts, colei che più di ogni altra ha incarnato il ruolo della "fidanzata d'America" nei gloriosi anni '90, divenendo l'attrice più pagata di Hollywood grazie alle sue commedie romantiche record di incassi.
Di contro, la sua fama è stata sempre, o quasi, accostata ad un certo tipo di pellicole "leggere", che più di una volta l'hanno ingabbiata nello stereotipo dell'interprete bidimensionale, adatta apparentemente solo al genere cosiddetto brillante.
Riesce a svincolarsi definitivamente da questa fastidiosa etichetta nel 2000, con il ruolo puramente drammatico di Erin Brockovich nell'omonimo film di Steven Soderbergh, che convince anche i critici più snob. E l'Academy.
Sicuramente una delle mie interpreti preferite, di seguito ho stilato una lista dei suoi ruoli che più ho amato e che l'hanno contraddistinta sul grande schermo grazie al loro mix di humour, eleganza, semplicità e freschezza.


venerdì 13 ottobre 2017

Blade Runner 2049


Usciti dall'intensa visione di "Blade Runner 2049" (140 minuti forse non tutti necessari), la prima cosa che ci sovviene di questo sequel del cult di Ridley Scott è anche il suo punto di forza principale, vale a dire l'abilità di Denis Villeneuve nel realizzare un nuovo capitolo in grado di reggersi sulle proprie gambe senza troppi paragoni inutili con l'originale del 1982.
Ovviamente questa è un'arma a doppio taglio, in quanto gli irriducibili fan della prima ora potranno muovere critiche di ogni sorta al riuscito film del regista canadese (che da 4 anni a questa parte non sembra sbagliare un colpo), ma non è questa la sede per mettere a confronto le due opere. 


Perché oltre a mantenere l'atmosfera del primo "Blade Runner", doverosa ma senza il melenso effetto nostalgia, Villeneuve espande la filosofia dei replicanti ben oltre ciò che potessimo aspettarci (anche se i dubbi erano pochi soprattutto dopo la fantascienza con cervello di "Arrival"), evitando di stravolgerne il senso e creando anzi le basi per un ulteriore racconto che verosimilmente potrebbe essere esplorato senza troppe indignazioni.

mercoledì 4 ottobre 2017

"madre!" e "L'inganno": post femminismo mancato?

Entrambi attualmente nelle sale italiane, "madre!" di Darren Aronofsky e "L'Inganno" di Sofia Coppola potrebbero essere definiti come due film post femministi a tinte horror: sia l'uno che l'altro mettono al centro della scena figure femminili emblematiche che cercano, a fronte dell'invasione del loro spazio sacro, con le dovute differenze di epoca ed età anagrafica, di (ri)affermare la propria posizione svincolandosi dall'egemonia dominante maschile.



Fin qui niente di strano, considerato anche il fatto che uno dei due registi è di sesso femminile, ma ciò che disorienta e per certi versi delude di queste pellicole è il modo in cui viene affrontato il dualismo tra ciò che la donna rappresenta per la società, fondamentalmente una minaccia, e come ella reagisce a questa categorizzazione.
Esulando per un momento dal puro giudizio cinematografico, il vero problema di "madre!" è la totale inerzia, se non passività, della protagonista Jennifer Lawrence (nel ruolo probabilmente più difficile della sua carriera) nei confronti del marito/star Javier Bardem: il suo amore cieco e assoluto alla fine sarà la sua condanna a morte, il suo alienante desiderio di maternità la porterà sull'orlo della pazzia. 
Inutile dire quante e innumerevoli chiavi di lettura ci offra la discussa (a dir poco) opera di Aronofsky, fischiata a Venezia ma apprezzata in patria, che destabilizza e "intrattiene" in maniera sconvolgente il pubblico nella sua allegoria sfrenata, come raramente capita di vedere sul grande schermo. 

venerdì 8 settembre 2017

Emmy Awards 2017: Pronostici

Domenica 17 Settembre verranno svelati i vincitori della 69esima edizione degli Emmy Awards, che sarà ricordata probabilmente più per il grande assente "Game of Thrones" (ineleggibile quest'anno in quanto la settima stagione è andata in onda a luglio a votazioni ormai concluse) che per gli eccellenti candidati.
Mai come quest'anno infatti la schiera di serie e miniserie è stata tanto nutrita, varia e di grande qualità, alla quale è corrisposta un'altrettanto entusiastica reazione da parte del pubblico.
"Stranger Things", "This is Us" e "Big Little Lies" in particolar modo hanno polarizzato una grande fetta di telespettatori e creato veri e propri aficionados. Sarà interessante vedere come si comporteranno i membri dell'Academy: seguiranno i gusti della massa oppure cercheranno di concentrare i loro voti su scelte più drastiche e autoriali? 


Sulla carta la risposta sembra già vertere per la seconda ipotesi: l'opera visionaria e fantascientifica "Westworld" (non esattamente un prodotto adatto a una fruizione su larga scala) parte in netto vantaggio con ben 22 nominations. Ma non sempre un cavallo vincente si misura dal peso delle sue candidature ("La La Land" agli Oscar, avete presente?!), quindi di seguito vediamo nel dettaglio quali sono gli show e gli attori che hanno più chance di vittoria, tra gusti personali e pronostici degli esperti.

giovedì 7 settembre 2017

Dunkirk

Partiamo da un assioma: Christopher Nolan è una garanzia.
Affermazione che farà storcere il naso a tanti, forse, ma sfido a trovare attualmente in circolazione un regista capace di catalizzare l'attenzione di pubblico e critica e, al contempo, di coniugare tecnica registica, intrattenimento e riflessione in ogni sua opera a livelli altrettanto eccellenti.


Perché "Dunkirk", sua ultima fatica a 3 anni di distanza dall'incompreso (e troppo ambizioso?) "Interstellar", è la summa perfetta del suo talento visionario, nonostante la narrazione si discosti palesemente dalle sue opere precedenti. Cimentandosi per la prima volta con un evento storico avvenuto per di più durante la II Guerra Mondiale, Nolan non si adagia "sugli allori" di un genere apparentemente comodo e abusato, ma riesce a reinventarlo e a renderlo affine alla sua cifra stilistica più riconoscibile: la distorsione del tempo.
Fin da "Memento" il regista britannico ci ha abituati alla non linearità delle sue storie a scatole cinesi, nelle quali il tempo è un elemento mai statico che egli riesce a plasmare sapientemente sorprendendo continuamente lo spettatore. 

mercoledì 21 giugno 2017

50 Anni per Nicole Kidman: Le 5 Migliori Interpretazioni

Il 20 Giugno 1967 nasce ad Honolulu Nicole Mary Kidman, attrice australiana tra le più talentuose e versatili della sua generazione.


Liberatasi dall'ombra dello "scomodo" marito Tom Cruise, alla fine degli anni '90 si impone come interprete poliedrica spaziando tra ruoli commerciali e film d'autore con una semplicità disarmante.
Dopo aver vinto numerosi premi tra cui l'ambito Premio Oscar, la sua carriera subisce una battuta d'arresto, abusa della chirurgia plastica e nel decennio 2005-2015 (tranne l'eccezione "Rabbit Hole") sceglie una sequela di film tutt'altro che memorabili e con un imbarazzante riscontro al botteghino. 
La rinascita professionale si compie proprio quest'anno, che l'ha vista tornare alla ribalta agli occhi dei critici e del pubblico prima con l'interpretazione in "Lion" (nomination agli Oscar 2017) e successivamente con un tris di film ben accolti il mese scorso al Festival di Cannes, tra cui il nuovo lavoro di Sofia Coppola "The Beguiled", senza dimenticare la fortunatissima incursione sul piccolo schermo con la miniserie gioiello "Big Little Lies".
Se la vita inizia a 50 anni, Nicole ne è la prova vivente, con la speranza che possa aggiungere altri ruoli memorabili ai cinque elencati di seguito, senza dubbio tra i miei preferiti.

giovedì 20 aprile 2017

30 Anni di Simpson. I 5 Episodi Migliori


La prima apparizione della famiglia gialla più famosa d'America fu sottoforma di cortometraggio durante il "Tracey Ullman Show", esattamente il 19 Aprile del 1987 sul canale FOX.
Sarebbero passati un paio di anni prima che la creatura di Matt Groening, attualmente la serie tv più longeva di sempre con la 28esima stagione in onda, ottenesse lo spazio che meritava nel palinsesto statunitense rivoluzionando il piccolo schermo.
Nonostante nell'ultimo decennio abbia perso molto dello smalto e dello stile caustico che da sempre l'ha contraddistinta, "I Simpson" ha senza dubbio il merito di aver reso pop e mainstream quella feroce satira al modello familiare e sociologico (non solo) americano che precedentemente era appannaggio esclusivo degli "stand-up comedians". 
Homer, Marge, Bart, Lisa, Maggie: l'americano medio con i parossismi e le distorsioni dell'edonismo anni '80 hanno influito sulla cultura dei mass media del XXI secolo più di quanto ci potremmo aspettare, grazie a più di 600 episodi tra cui, di seguito, ho scelto i 5 in assoluto migliori e più rappresentativi del loro marchio di fabbrica.

lunedì 27 febbraio 2017

Oscar 2017: I Momenti Migliori

Quella che sarà per sempre ricordata come la gaffe più imbarazzante della storia degli Academy Awards (per cui è già stata aperta un'inchiesta), vale a dire Warren Beatty che suo malgrado annuncia erroneamente il premio come Miglior Film a "La La Land" anziché a "Moonlight", ha monopolizzato ovviamente l'attenzione del mondo intero su una cerimonia che, durante la diretta di quasi 4 ore, ha comunque regalato momenti emozionanti e di grande spettacolo.


La conduzione di Jimmy Kimmel è stata fluida e divertente, con un grande monologo di apertura caratterizzato dalle - prevedibili - battute su Trump (nemmeno troppe alla fine), su Matt Damon e sul destino dei conduttori degli Oscar. Una freschezza che non trovavamo forse dai tempi di Ellen DeGeneres, soprattutto nel momento della cascata di dolciumi (nel 2014 la conduttrice fece consegnare la pizza direttamente in teatro, per la gioia degli astanti) e quando un gruppetto di turisti si ritrova "incredulo" dentro al Dolby Theatre dove partono selfie e abbracci con Denzel Washington e Meryl Streep.
Per il sottoscritto, poco prima della "caduta della mascella" per la statuetta sbagliata, i seguenti sono stati i momenti migliori di un'edizione tutto sommato ecumenica nei premi (6 Oscar a "La La Land", tra cui Miglior Regia al 32enne Chazelle che diventa il più giovane regista mai premiato; 3 a "Moonlight", incluso, appunto, Miglior Film; 2 ciascuno a "Manchester by the Sea" e "Hacksaw Ridge"), schierata politicamente ma non quanto ci saremmo aspettati (a eccezione del messaggio del regista iraniano Farhadi e della stoccata al muro col Messico di Gael Garcia Bernal) e in generale più sottotono del solito.

venerdì 24 febbraio 2017

Oscar 2017: I Pronostici


Ci siamo! Soltanto pochi giorni ci separano dalla Notte più importante per il Cinema, l'evento più seguito, chiacchierato e criticato sui media, sui social e alla macchinetta del caffè la mattina dopo.
Per chi, come me, seguirà la lunga maratona dalle 2 a.m. (ora italiana) fino alle 6 circa, di caffè dovrà farne una bella scorta. 
Domenica 26 Febbraio, dal Dolby Theatre di Los Angeles, presentata da Jimmy Kimmel per la prima volta, l'89° edizione degli Academy Awards svelerà finalmente i suoi vincitori. 
Sarà record oppure bruciante delusione per "La La Land"? Si privilegerà invece il voto "politico" per "Moonlight" al fine di sancire definitivamente la tanto decantata eguaglianza e cancellare l'infamante ricordo dell'hashtag "#oscarsowhite", anche alla luce della presidenza Trump?
Bando alle ciance, di seguito come sempre i miei pronostici - chi (credo) vincerà e chi vorrei vincesse - per ogni categoria.

giovedì 16 febbraio 2017

Hidden Figures (Il Diritto di Contare)

Nel 1961 la cosiddetta "corsa allo spazio" scandì uno dei momenti cruciali della Guerra Fredda tra USA e Unione Sovietica, e le imprese dell'una e dell'altra parte sono state più volte riportate e impresse nella memoria e nei libri di Storia, così come gli eroi che ne furono protagonisti.


Ci furono tuttavia alcuni attori (o nel caso specifico, attrici) fondamentali nel processo che portò gli Stati Uniti alla gloria e al prestigio dell'avventura spaziale, per molto tempo rimasti nell'ombra, sconosciuti alle grandi masse, senza il cui prezioso contributo non si sarebbe nemmeno potuto considerare, di lì a pochi anni, l'arrivo dell'uomo sulla Luna.
In pillole, questo è ciò che racconta "Hidden Figures" (in Italia diventato curiosamente "Il Diritto di Contare"): la storia vera di tre scienziate (Katherine la matematica, Mary l'ingegnere e Dorothy la programmatrice), tra le prime donne afroamericane assunte alla NASA, che vincono il doppio pregiudizio del colore della loro pelle (i fatti si svolgono nello Stato della Virginia, all'epoca ancora segregazionista) e del loro sesso, riuscendo a eccellere nei relativi campi divenendo delle vere e proprie pioniere.
In particolare, Katherine G. Johnson (una Taraj P. Henson in forma smagliante, misurata e intensa), la bambina prodigio che riusciva a risolvere complicatissime equazioni già all'età di 10 anni, fu colei che rese possibile, grazie ai suoi calcoli perfetti, la riuscita della Missione Mercury-Atlas 6, con relativo lancio, orbita intorno alla Terra e ritorno della capsula "Friendship 7" con l'astronauta John Glenn a bordo.

mercoledì 15 febbraio 2017

Fences (Barriere)

Troy Maxson è un uomo di mezza età che vive nei sobborghi di Pittsburgh alla fine degli anni '50, lavora come netturbino e vive con la moglie Rose e il figlio diciassettenne Cory.
La sua vita scorre in modo apparentemente semplice: casa, lavoro, quattro chiacchiere con il suo migliore amico, una bottiglia di gin nel fine settimana per stemperare lo stress, un rapporto ancora passionale con la moglie devota. Ma un terribile segreto ben presto sconvolgerà la sua vita, e sarà costretto a fare i conti con gli errori e il dolore causato ai suoi cari.


Vite di tutti i giorni. Si potrebbe dire persone ordinarie raccontate in modo straordinario: questo realizzava nel 1983 il drammaturgo August Wilson con la sua pièce teatrale "Fences", vincitrice del Premio Pulitzer e del Tony Award
Quella storia oggi è diventata un film diretto da Denzel Washington, che interpreta anche il protagonista, affiancato da Viola Davis. Entrambi gli attori riprendono i ruoli di Troy e Rose che avevano già portato in scena a Broadway nel 2010 in un nuovo allestimento dell'opera con grande successo (vinsero entrambi il Tony nelle rispettive categorie attoriali).

lunedì 13 febbraio 2017

Moonlight

"Moonlight" di Berry Jenkins è il racconto di formazione di un ragazzo omosessuale di colore che vive nella periferia di Miami, suddiviso in tre momenti peculiari della sua vita: infanzia, adolescenza, maturità.
Madre dipendente dal crack, bullismo, omofobia, ricerca di una figura paterna: questi i grandi ostacoli posti di fronte al giovane Chiron




Tematiche non certamente inesplorate al cinema (inevitabile pensare al caso di "Precious" nel 2009), ma che in qualche modo scardinano una porta già parzialmente aperta da opere precedenti, in una veste del tutto nuova: parlare di omosessualità nella comunità nera, peraltro di quella più povera e svantaggiata, rendendo il tutto asciutto e mai retorico, è un traguardo encomiabile in un'epoca come la nostra dove persistono, coriacei, ancora molti tabù. Nel mondo patinato della serie tv "Empire", ad esempio, l'argomento è affrontato dal punto di vista di ragazzi belli, ricchi e ai vertici della notorietà.
Con abilità Jenkins crea un ritratto potente e visivamente efficace della sofferenza del piccolo Chiron, ma l'opera nella sua interezza mostra ben presto le sue debolezze di fondo. 

martedì 7 febbraio 2017

Jackie

Un resoconto atipico dei tre giorni che seguirono l'assassinio del Presidente USA John Fitzgerald Kennedy, ricostruito dalla viva voce della consorte Jacqueline: ci voleva un regista cileno e non allineato come Pablo Larraín, dallo stile asciutto e tagliente, per restituire dignità e veridicità a un momento storico fondamentale e a una figura femminile altrettanto iconica. 


"Jackie" ruota letteralmente intorno alla figura della sua protagonista: la macchina da presa è costantemente su di lei, intercetta qualsiasi emozione senza risparmiare primissimi piani sul suo viso macchiato dal sangue del marito e ricostruisce con precisione chirurgica il fatale momento dello sparo sulla limousine presidenziale di quel maledetto 22 novembre 1963.
Il regista però non indugia mai sul fattore retorico della vicenda, liberando il racconto da inutili sovrastrutture che avrebbero potuto tranquillamente trasformare l'opera in una banale fiction romanzata. Con un taglio d'apertura quasi horror, coadiuvato da una colonna sonora d'effetto, il film si concentra inevitabilmente sulla figura di Jackie e sul suo dolore senza compromessi, privo di orpelli o accomodamenti: la First Lady che si aggira come un fantasma tra le numerose stanze di quella Casa Bianca tanto amata che, indirettamente, adesso la vede come un'ospite indesiderata, non riesce a trovare un senso all'assenza e al vuoto lasciato dal marito.

venerdì 3 febbraio 2017

I 10 Musical Vincitori dell'Oscar come "Miglior Film"


In 88 edizioni, l'Academy ha premiato con l'Oscar per il Miglior Film "solamente" 10 pellicole in cui i protagonisti si cimentano nel canto e nel ballo, nonostante il musical sia uno dei generi primigeni dell'industria hollywoodiana (non a caso il primo lungometraggio sonoro in assoluto è "The Jazz Singer" del 1927), così come uno dei più complessi da portare in scena e forse proprio per questo sottovalutato.
Se dovesse rispettare i pronostici e ottenere la statuetta più ambita nella notte del 26 Febbraio, "La La Land" diverrebbe l'undicesimo musical a riuscire nell'impresa, e il secondo in quasi cinquant'anni.

In ordine cronologico, i film in questione sono i seguenti:

mercoledì 1 febbraio 2017

La La Land

Una lettera d'amore. Alla Musica. Alla Città dei Sogni. Alla Settima Arte.


Damien Chazelle, classe 1985, confeziona il Musical del Nuovo Millennio, nostalgico al punto giusto (strizzate d'occhio ai grandi classici "Un Americano a Parigi" e "Cantando sotto la pioggia", tra le altre, numerose, citazioni), poetico e leggiadro come un giro di valzer, incalzante e pungente come un assolo di pure jazz
Uno sguardo al passato, imprescindibile, per volgere al futuro, come le varie contaminazioni che subisce, e ha subìto, la sua amata musica jazz che, per rischiare di non morire, deve necessariamente rinnovarsi, senza perdere la sua anima.
Un po' come i protagonisti, Mia e Sebastian (superlativi Emma Stone e Ryan Gosling, in un ruolo a tutto tondo che non li fagocita mai, riuscendo a rendere credibile persino un tip tap interrotto dalla suoneria dell'I-Phone), che mentre si arrovellano tra le strade di Los Angeles cercando di sfondare nei rispettivi ambiti, la recitazione e la musica, si trovano, si amano, si lasciano abbagliare da illusioni di gloria e restano inevitabilmente bruciati, senza però mai perdere quella scintilla, quella passione viscerale che li spinge a coronare i loro granitici sogni di gloria.


Se in "Whiplash" la ricerca della perfezione artistica era vissuta come una sorta di via crucis personale, qui il difficile percorso di auto-realizzazione viene filtrato dall'occhio romantico e profondamente coreografico di una macchina da presa che accarezza, prende per mano lo spettatore e lo immerge dolcemente per un paio d'ore in un mondo parallelo, dove gli automobilisti imbottigliati nel traffico escono dalle loro vetture per improvvisare una danza di gruppo. E, diciamocelo, dove tutti vorremmo vivere.



martedì 24 gennaio 2017

Nomination Oscar 2017: Sorprese (Poche) e Snobbati


Grande rinnovamento per la cerimonia delle Nominations agli Academy Awards edizione 89, che rispetto agli altri anni non sono state annunciate dal Samuel Goldwyn Theater di Los Angeles, bensì tramite una diretta da 6 angoli diversi del globo, una condivisione totale con il mondo che ben dimostra i nuovi intenti "inclusivi" dell'Academy.
E difatti, volenti o nolenti, salta subito agli occhi il numero di attori afroamericani candidati quest'anno, in controtendenza rispetto alle ultime due edizioni contraddistinte dall'infamante #oscarsowhite: ben sei (Denzel Washington, Ruth Negga, Mahershala Ali, Viola Davis, Naomie Harris, Octavia Spencer). E allargando il cerchio, troviamo Berry Jenkins nella cinquina del Miglior Regista, per "Moonlight". Se dovesse vincere, sarebbe il primo regista di colore a riuscire nell'impresa.
Un segnale positivo che, speriamo, possa spostare l'attenzione mediatica sul valore intrinseco delle pellicole, anziché su polemiche (legittime o meno) a sfondo etnico.
Di seguito le grandi sorprese e gli snobbati più eclatanti di quest'anno.

lunedì 23 gennaio 2017

Silence

Il nuovo ambizioso film di Martin Scorsese, progetto cullato per oltre 25 anni tratto dal romanzo "Silenzio" dello scrittore giapponese Shūsaku Endō, è destinato a dividere il pubblico.
Innanzitutto, ad uno sguardo superficiale, si potrebbe dire che "Silence" sia l'opera di un regista fortemente influenzato dalla fede cristiana (il che è vero) che ha voluto confezionare una sorta di testamento propagandista filo-cattolico. Sbagliatissimo.
Proprio per la sue radici cristiane Scorsese ha potuto realizzare un'opera eccellente che pone la questione della religione sul piano etico e morale, sollevando dubbi e chiedendo a se stesso e al pubblico di riflettere sulla missione gesuita di due sacerdoti nel Giappone del XVII secolo.


Non di facile fruizione, privo di colonna sonora e caratterizzato da scene di lungo respiro, "Silence" è maestoso nel suo concepimento e nella sua realizzazione (la fotografia di Rodrigo Prieto lascia a bocca aperta), ma avrebbe potuto essere ancora più coraggioso nella sua tematica. Preferisce non azzannare al collo l'atavico, e scomodo, elemento dello scontro religioso (in questo caso tra cristianesimo e buddismo), ricorrendo piuttosto ad uno stile poetico e filosofico che riesce però ad addentrarsi sotto la pelle dello spettatore, smuovendo anche (almeno per il sottoscritto) le coscienze dei più fervi miscredenti. Ma l'obiettivo non è quello di "reclutare" anime alla causa cristiana, bensì mostrare quanto il potere della religione, qualunque essa sia, possa essere granitico e impossibile da sradicare, nonostante tentativi di coercizione o abiure ostentate; e, soprattutto, quanto pericolosamente inutile sia far prevalere l'uno o l'altro credo in condizioni estremamente diverse e variegate, quando entrambi potrebbero - e dovrebbero - perpetrare il bene comune. 
In questo senso il protagonista, Padre Sebastião Rodrigues (Andrew Garfield che regala una grande prova attoriale, matura e misurata) è il simbolo dell'uomo dalla fede incrollabile, che porta avanti la sua missione con lo stesso sacrificio che caratterizzò Gesù Cristo, ma probabilmente è anche colui che cela le maggiori debolezze dell'essere umano, prima fra tutti una radicalizzazione cieca della sua stessa fede. Il che porta inevitabilmente più danni che benefici.
Temi spinosi e attualissimi oggi più che mai, dove la religione è sempre maggiormente utilizzata come arma per soggiogare le masse e giustificare odio e divisioni. Per questo "Silence" è un film profondamente sentito, toccante e senza dubbio necessario, pur con alcune debolezze di fondo (la voce fuori campo del protagonista a tratti è fin troppo didascalica), perché ha come scopo ultimo ciò che il Cinema dovrebbe realizzare più frequentemente: far pensare.

venerdì 20 gennaio 2017

Arrival

Dovendo riassumere in una sola frase il nuovo film di Denis Villeneuve (in concorso all'ultimo Festival di Venezia e in ottima posizione per ottenere diverse nominations agli Oscar) "una parabola moderna sulla comunicazione (o sull'impossibilità di essa)" calzerebbe alla perfezione.



Un'esperta linguista, tale Louise Banks, viene reclutata dall'esercito americano per stabilire un contatto con una specie aliena che ha appena occupato i cieli di 12 diverse zone della Terra con altrettante navicelle a forma di guscio. Il suo compito è, appunto, quello di decifrare il loro linguaggio e, coadiuvata da un fisico teorico, stabilire una comunicazione per capire, prima di tutto, da dove provengano e quali siano le intenzioni dei viaggiatori spaziali.
Lontano anni luce - è il caso di dirlo - da qualsiasi altro film di fantascienza sulle invasioni extraterrestri visto ultimamente, "Arrival" si concentra sul personaggio di Louise (un'intensa Amy Adams che quest'anno non sbaglia un colpo), tormentata da visioni della figlia morta e alla disperata ricerca della soluzione all'enigma/ostacolo comunicativo che alla fine riuscirà a trovare, in un colpo di scena sbalorditivo che ribalta l'intera prospettiva della pellicola. Proprio lei rappresenta il tramite tra le due "coscienze" in grado di sbloccare il gap linguistico, il cui processo analitico viene reso in maniera affascinante (e plausibile, il che non guasta) nonostante i tecnicismi utilizzati. 

giovedì 12 gennaio 2017

Elle

Fresco di due vittorie ai Golden Globe Awards (Miglior Film Straniero e Miglior Attrice Protagonista in un film drammatico), "Elle" di Paul Verhoeven, indimenticato regista olandese di quella perla trash di "Showgirls", è solo apparentemente un thriller psicologico, che si diverte a mischiare generi e stili per divenire qualcosa di assolutamente originale, in definitiva una sorprendente commedia nerissima sul ruolo interscambiabile dei sessi, sulla seduzione e sul potere della femminilità.


Senza sconti e facili ammiccamenti, la pellicola ruota attorno a Michèle, donna divorziata emancipata, che subisce un'aggressione con tanto di stupro nella propria casa, ma anziché divenire vittima dell'accaduto si trasforma in una gelida e lucida carnefice, sia nella sfera puramente intima e sessuale (l'atto meccanico di masturbare il suo amante nel proprio ufficio e, soprattutto, il gioco del gatto e del topo che instaura con il - non più - misterioso aggressore) che in quella pubblica e relazionale (la cena di Natale è un pretesto per affermare dominio e controllo sulle persone che la circondano, mentre la caccia all'hacker nel suo ufficio si risolve in modo imprevedibile).
Attraverso la sua splendida protagonista (Isabelle Huppert al suo massimo) il regista ridicolizza la società borghese rendendo Michèle una mina vagante di sincerità, fascino e disinibizione: totalmente priva di filtri agisce sempre sul filo del rasoio sia che si tratti del rapporto madre-figlia (la reazione asettica all'aneurisma della madre), di quello con il figlio immaturo, con l'ex-marito e la morbosa curiosità verso la di lui nuova fidanzata e, in maniera più rilevante, col vicino di casa nuovo oggetto del desiderio.
E' francamente rincuorante vedere oggigiorno ritratti di personaggi femminili così forti, ambigui e catalizzatori, liberi da quel politicamente corretto che si vorrebbe perpetrare nei confronti delle vittime di aggressione e, in modo assoluto, delle donne che, proprio come gli uomini, soddisfano desideri e perversioni sessuali con pari risolutezza e raziocinio.
Il risultato è che nessuno si salva da questo grottesco affresco: che sia la 75enne col toy-boy, il 25enne inadeguato costretto al ruolo di padre di un figlio palesemente non suo oppure il vicino di casa con la moglie ultra cattolica che si fa palpare a tavola da una donna più matura, tutti si muovono in una fluida sovrapposizione del potere dei sessi, in cui il fulcro centrale è la frase che ad un certo punto declama la protagonista: "la vergogna non è sufficiente ad impedirci di fare certe cose", in quanto il desiderio primeggia e spinge alle azioni più scellerate.
Mai sopra le righe e sempre misurata, la Huppert rende umano, estremamente affascinante e persino divertente il suo prototipo di femminilità 2.0, che riesce anche a liberarsi dai fantasmi del passato (la purificazione nei confronti del padre-mostro verso la conclusione è emblematica) e ristabilire l'ordine nella sua vita alle proprie condizioni. 
Ci vuole grande coraggio per affrontare un ruolo del genere, soprattutto superati i 60 anni, e l'applauso è tutto per lei. Chissà se, dopo il Golden Globe vinto e i vari premi della critica ottenuti, l'Academy saprà riconoscerle il giusto merito.

lunedì 9 gennaio 2017

Golden Globe 2017: I Momenti "Migliori" e "Peggiori"


Oltre alle numerose trasparenze e all'elevata percentuale di "pelle" mostrata sul Red Carpet dalla maggioranza delle star presenti (da Jessica Biel a Mandy Moore, da Drew Barrymore a Sofia Vergara), la 74esima edizione dei premi della Hollywood Foreign Press Association sarà ricordata dai posteri sicuramente per due motivi: il record di 7 globi d'oro vinti da "La La Land" (più di qualsiasi altra pellicola, superando quota 6 di "Qualcuno volò sul nido del cuculo" nel 1975 e di "Fuga di Mezzanotte" nel 1978), e il discorso di ringraziamento di Meryl Streep (premiata con il Cecil B. DeMille Award alla straordinaria carriera) sempre in prima linea sui temi del sociale, che senza nominarlo apertamente ha duramente criticato Donald Trump e la sua pericolosa attitudine a diffondere discriminazione, xenofobia e violenza.


Va detto che in pochi si sono risparmiati battute e malcelate frecciatine al neo-presidente eletto (Jimmy Fallon nel suo monologo di apertura l'ha persino paragonato al terribile Re Joffrey del Trono di Spade), responsabile di alimentare odio, razzismo e separazione tra differenti gruppi etnici (e non solo), quando proprio ieri sera al Beverly Hilton si è potuto testimoniare quanto Hollywood (finalmente?) abbia accolto il delicato tema della "diversity" e, dopo la polemica dello scorso anno con il controverso  #oscarsowhite, si siano visti molti candidati e vincitori di colore, sia in ambito televisivo che cinematografico (vedi tra gli altri la serie tv "Atlanta" e la protagonista di "Black-ish" Tracee Ellis Ross vincitrice del primo Golden Globe per un'attrice comica di colore dal 1983, anno in cui Debbie Allen lo portò a casa per "Fame").
In questo clima, quindi, quali sono stati i momenti "migliori" e "peggiori" dello show?